lunedì 29 giugno 2009

Corrotto e corruttore, è davvero così?

Prima di esordire con l'argomento principale, due pillole:

1) Alla Camera dei Deputati gira un progetto di legge interessante, in merito (sinteticamente) al "diritto all'oblio" di cui sono ipoteticamente titolari coloro i quali abbiano avuto trascorsi di natura processuale. Per l'argomento mi limito a rimandarvi a www.voglioscendere.ilcannocchiale.it, l'ultimo video di Travaglio è estremamente chiaro sull'argomento; nonchè al seguente articolo http://www.difesadellinformazione.com/ultime_notizie/132/internet-e-diritto-all-oblio-quando-la-memoria-cade-in-prescrizione/

2) Sul sito del Senato, fra i progetti di legge "maggiormente richiesti", è comparso quel 601 di cui parlai (fra i tanti) un pò di tempo fa, sulla riforma della professione forense. Il più breve e irrilevante, che si proponeva di dimezzare i tempi del tirocinio. Il meno propenso ad essere approvato. Ed è fra i maggiormente richiesti. Io lo chiamerei specchietto per le allodole, ma forse sono in mala fede

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L'altro ieri sera, al Teatro di Seriate, parlava sul tema "Giustizia, verità, regole" Gherardo Colombo. Ex pubblico ministero, ex magistrato, ha lavorato nel pool di magistrati di Mani Pulite, è stato membro della Corte Costituzionale, e altro ancora (e mi fermo: wikipedia esiste apposta per il nozionismo biografico).
La discussione è stata ampia, e Colombo ha toccato molti temi.
In particolare - sul rapporto fra verità e giustizia - sottolineava come la "verità" intesa nel processo penale sia una "ricostruzione dei fatti volta ad accertare la responsabilità o meno di un soggetto"; in virtù di ciò, diceva, il concetto processuale penale di "verità" è molto più ristretto di quello che il termine significa per noi a livello intuitivo.

Per fare un esempio: nel processo Mills, la verità che si ricerca è se Mills sia stato o meno corrotto (per ora, abbandoniamo il "da chi"). Nel processo Mills esercita i suoi diritti processuali di imputato: porta prove, documenti, testimoni, insomma si difende. Il processo si conclude (in primo grado) con una condanna: la verità accertata (chiamiamola verità giudiziaria) è che Mills è stato condannato.

Questa verità giudiziaria, tuttavia, si inquadra in una verità più ampia: una ricostruzione dei fatti più ampia, attraverso cui giungere alla constatazione della responsabilità di Mills. E in questa verità più ampia, spunta un'altra responsabilità di un altro soggetto: quella del corruttore, Silvio nostro.

E' stato oggetto di polemica (anche da parte mia) come questa ricostruzione dei fatti, questa verità più ampia della mera verità giudiziara del processo, non sia stata considerata (a tutti i livelli, soprattutto mediatica) un elemento scandaloso; qualcosa che sancisse automaticamente la colpevolezza del Berlusca.
Ma forse, sulla scia dell'entusiasmo e della malsopportazione per il personaggio, ho mancato di riflettere a sufficenza.

Alla mia domanda in merito (posta in termini astratti e non riferita al caso concreto), Colombo ha risposto dicendo qualcosa di lampante nella sua semplicità e correttezza: la "verità" che vede Mills responsabile è una verità a cui si è giunti dando all'imputato la presupposta capacità di difendersi. La verità che vede Berlusconi responsabile no.
Trascendiamo dal caso concreto. Il mio migliore amico ammazza qualcuno. Testimonia che io sono complice, il che è falso. Alla fine del suo processo, non avendo avuto io alcun modo di intervenire in mia difesa (perchè non sono imputato, il processo non è fatto nei miei confronti), risulta che si - lui ha ammazzato quel qualcuno - ma che io sono complice. Il processo nemmeno me lo fanno, e vengo condannato pure io.

Nella realtà, ovviamente, non potrebbero certo condannarmi senza processo; accadrebbe invece che la sentenza di condanna del mio amico verrebbe usata come prova da nei miei confronti, in un secondo processo che mi veda imputato: una prova comunque di un certo peso. Un peso che rischia di essere - se fomentato dall'opinione pubblica - schiacciante, determinante, eccessivo. La prova per la quale, magari, finirei condannato, anche se innocente.

Insomma, a livello teorico/astratto e di stretto diritto, ciò che molti hanno visto come uno scandalo (ripeto, me compreso), effettivamente non lo è. Che poi nel caso Mills le condizioni siano differenti (MOLTO differenti), non credo di doverlo sottolineare (il secondo potenziale responsabile, poverino! , non può nemmeno difendersi in un secondo processo: il Lodo Alfano glielo impedisce).

Il problema tuttavia esiste anche al di fuori del caso concreto, ed è a monte: se la sentenza non può essere utilizzata come prova, nel processo che seguirebbe contro di me (o contro Silvio), andrebbero riesaminate tutte le proveletestimonianzeidocumentituttoquanto! Tenuta presente la lunghezza esasperante dei tempi della giustizia, i risultati potenziali sarebbero due:
- Il reato eventuale del secondo eventuale responsabile (il mio omicidio, la corruzione operata da Silvio) finirebbe in prescrizione.
- Il risultato del secondo processo potrebbe persino contraddire il primo, e vedere il primo soggetto (condannato) risultare addirittura innocente (ma non essendo stato fatto direttamente a lui, il secondo processo, sarebbe ancora condannato: e quindi? E' un problema serissimo che onestamente non ho idea di come si risolva a livello di diritto; mea culpa).

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Tirando le somme: si dice il corrotto, ma non il corruttore. Vero
MA
Si direbbe anche il corruttore, se la giustizia funzionasse come dovrebbe. Con i tempi, i modi, e l'onestà che si presuppone debba avere. Questo è il vero problema. Questo è ciò su cui bisognerebbe focalizzare l'attenzione.
Quindi focalizzatevi, foche.

venerdì 19 giugno 2009

Censura Legale: un argomento scomodo

Tempo fa, nel mio vagare adolescenziale fra video dementi di youtube, capitai (non so bene come) su un'intervista fatta a tal Paolo Barnard. Un'intervista il cui contenuto non ha a che fare con quest'intervento. Fatto sta che da lì iniziai ad interessarmi al personaggio.

Paolo Barnard: giornalista, saggista, scrittore, co-fondatore di Report e attivo in RAI per 14 anni. Apprezzato ed elogiato da molti esponenti di politica, magistratura, giornalismo. Noto soprattutto per inchieste mandate in onda da quel Report da lui co-fondato: inchieste taglienti, scomode, di quelle che rendono Report un programma migliore di quanto a volte non sembri.
Nel 2001 Report manda in onda un'inchiesta di Barnard sul "comparaggio farmaceutico": una pratica a quanto pare usuale delle case farmaceutiche, le quali - offrendo viaggi in località esotiche ed incentivi di varia natura - incoraggiano i medici a prescrizioni "extra", molto spesso suprflue e potenzialmente dannose. Il servizio riscuote successo, e viene addirittura rimandato in onda nel 2003.
Nel 2004, un informatore farmaceutico denuncia per il servizio Barnard, la RAI e la caporedattrice di Report, Milena Gabanelli.
Da qui, per Barnard, iniziano i problemi. Problemi che, per essere compresi, necessitano di qualche premessa (e in queste premesse sta il succo del mio intervento: il caso concreto, che ha messo in luce la questione, è questione a sè stante sulla quale peraltro si possono sollevare obiezioni).

Chi lavora in RAI può farlo come 1) dipendente o come 2) collaboratore.
1) I dipendenti sono soggetti regolarmente assunti, e godono di "copertura legale" in caso di cause penali a loro intestate per lavori svolti in RAI. In pratica, se si viene denunciati per la violazione di un reato relativa a un servizio/inchiesta o quant'altro, la RAI paga le spese legali. Tuttavia questa copertura non esiste in sede civile: se la causa intestata non è penale ma civile, la RAI non paga le spese legali.
2) I collaboratori sono lavoratori "free lance", che vendono i propri servizi di volta in volta all'emittente RAI. Per poterlo fare, sono tuttavia vincolati a firmare un contratto in cui (a causa della c.d. "clausola di manleva") si assumono ogni responsabilità legale del loro lavoro. In parole povere si impalano sulla pertica della rinuncia a qualunque forma di tutela.

Barnard lavora come collaboratore, la Gabanelli è ovviamente dipendente.
A seguito della citazione (che appunto vede imputati lui, RAI e Gabanelli) la RAI e la Gabanalli vengono difesi da un prestigoiso studio legale romano a cui normalmente la RAI affida simili cause.
Barnard rimane appeso.
Ma non basta: la linea difensiva di RAI e Gabanelli, durante il processo, sarà di scaricare ogni responsabilità su Barnard. Dulcis in fundo, la RAI invia a Barnard un atto di costituzione in mora con il quale, sostanzialmente, si promette di rivalersi su di lui nel caso venga condannata a un risarcimento nel processo sopracitato.

A fronte di tutto questo esistono delle promesse, fatte dalla Gabanelli stessa a Barnard su una "sicura assistenza legale" che la RAI gli avrebbe offerto in situazioni del genere. Purtroppo le promesse volano assieme alle parole che le portano, tant'è che di assistenza Barnard non ne vede: peggio, diventa capro espriatorio su cui la stessa RAI tenta di scaricare ogni colpa.
Da qui in poi il caso diviene un'intricata sequela di promesse e smentite fra Gabanelli e Barnard: se proprio volete lanciarvi nella matassa, andate qui http://www.paolobarnard.info/censura_legale_repliche.php.

Ciò che mi preme sottolineare è che all'oggi i collaboratori, nel mondo del giornalismo, sono tanto importanti (numericamente e qualitativamente) quanto i dipendenti. Un simile abbandono alla spada di damocle eternamente pendente sulla testa di un giornalista della "denuncia per diffamazione" non è certo positiva per il mondo dell'informazione.
Se poi, analizzando il caso concreto, ci accorgiamo che all'abbandono si aggiunge l'accanimento, viene da chiedersi quante altre situazioni meno note ma ugualmente tristi siano accadute o accadano.
Insomma, l'ennesima batosta ad un'informazione già asfittica che certo non ha bisogno di essere ulteriormente deincentivate a portare avanti inchieste scomode, a fare domande che non piacciono, o affermazione dal labile confine con la diffamazione.

Per essere estremamente sintetici: la clausola di manleva è una merda. Se volete fare il giornalista collaboratore, ricordatevi sempre di questo revolver puntato alla vostra tempia: al primo passo fuori pista, rischiate tutto. Probabilmente la voglia di andare fuori pista vi passerà. E con lei se ne andrà l'ennesima possibilità di informazione libera.

domenica 14 giugno 2009

Legge Bavaglio - "E' calata la notte della Repubblica"

Dagli squallori europarlamentari, torno a radiografare gli eventi del bel paese: tanto, con tutta la carne (marcia) che c'è al fuoco, un paio di croci uncinate impigliate nell'UE sono quasi una letizia! Quasi.

Legge Bavaglio, dunque, o Progetto di Legge 1415 (prima) e 1415-A (dopo, la versione definitiva che comprende al suo interno altre cinque proposte di legge di argomento analogo).
Scrivò ciò che tutti sanno già: il testo è un bavaglio alla libertà di informazione. Ovviamente il suo contenuto va approfondito, ma per ora riassumo semplicemente quello che è stato il suo travagliato iter parlamentare:
- Fine Giugno 2008: presentazione alla Camera da parte del Governo come pdl 1415.
- Febbraio 2009: relazione dalla Commissione competente assieme agli altri cinque progetti concorrenti (che non sta per avversari), sotto nome di pdl 1415-A.
- Da Marzo a Giugno 2009: esame in assemblea degli articoli, presentazione di questioni pregiudiziali (in parole poverissime, di potenziali scorrettezze individuate dall'opposizione), esame di tali questioni, varie proposte emendative (cioè di modifica del testo base).

Da qui iniziano gli "hot spot":
- 10 Giugno 2009: il Governo presenta un maxi-emendamento (una lunghissima proposta di modifica) all'articolo 1 del testo della legge, e pone la questione di fiducia sulla votazione del medesimo. Tale maxi-emendamento comprende tutte le novità introdotte dalla Commissione Giustizia durante l'iter Camerale, accorpandole nel solo articolo 1 e sopprimendo gli altri 22. Quanto alla questione di fiducia, cos'è? Banalmente, il governo dice che se l'oggetto sul quale la sta ponendo non verrà approvato (in questo caso il maxi emendamento), allora si dimetterà. Lo scopo della questione di fiducia è ovviamente "compattare" la maggioranza e convincerla a votare si (in quanto un no vorrebbe dire lo scioglimento del Governo). Peraltro, la questione di fiducia fa decadere tutti gli emendamenti presentati in precedenza, rendendo l'approvazione dell'intero testo di legge molto più rapida. L'emendato articolo uno viene approvato: il governo è salvo! E considerato che è stato approvato l'unico articolo che ora costituisce il testo della legge, è intuibile il risultato della votazione finale dell'intero testo.
- 11 Giugno 2009: il Parlamento approva il testo finale del progetto di legge (ma và?).

Una volta approvato alla Camera, il testo viene trasmesso al Senato, dove dovrà ripercorrere lo stesso iter Camerale: se sarà approvato anche al Senato, il disegno di legge diverrà legge a tutti i dannosissimi effetti.

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Veniamo dunque al contenuto di questa legge. Dato che il maxi-emendamento ha sostanzialmente concentrato l'intero testo della legge nel solo articolo 1, sopprimendo tutti gli altri articolo, il testo della proposta ora in esame al Senato altro non è che il testo del maxi emendamento. Mi limito a riportare i punti più rilevanti (con qualche premessa), rimandandovi al testo intero se proprio volete farvi del male (testo della legge).

Cosa possiamo sapere
Gli atti di un processo coperti dal segreto non possono essere pubblicati, e ok. Non possono essere pubblicati - finchè non si concludono le indagini preliminari o l'udienza preliminare - nemmeno gli atti non più coperti dal segreto, MA (prima) era sempre possibile pubblicarne il contenuto: una volta scaduto il segreto, il contenuto di qualunque atto processuale era di pubblico dominio. Semplicemente non lo erano gli atti in sè.
Ora, invece, non è possibile pubblicare nemmeno per riassunto (e quindi nemmeno a livello di mero contenuto) intercettazioni ed atti processuali idonei a comprendere di chi e cosa si stia parlando, di qualunque forma e tipo, finchè non siano concluse le già citate indagini o l'udienza preliminare. Considerati i tempi della giustizia italiana, l'opinione pubblica può rimanere all'oscuro di determinati fatti (fino a poco tempo fa perfettamente conoscibili) per anni e anni. E ciò non è bello. Cara mamma, ha presente il suo vicino? Quello a cui lascia sempre suo figlio quando va a fare la spesa? Indovina un pò, sembra che al vicino piaccia sodomizzare gli infanti! Come? E' sotto udienza preliminare da più di tre anni e lei lo scopre solo ora? E' indignata? Cazzi suoi. It's law, bitch.

In quali casi possiamo saperlo
Viene ristretta a soli determinati casi l'ammissibilità non solo di intercettazioni telefoniche/telematiche o di generale telecomunicazione (già sussistente in precedenza), ma anche quella di immagini mediante riprese visive (novità). State attenti, paparazzi, perchè una foto di troppo può costarvi caro. Se poi le foto sono cinquemila e vi chiamate Zappacoso, molto caro.

Pene [le, non il]
Sono previste varie pene detentive: da uno a cinque anni per chi, in virtù del proprio coinvolgimento professionale, riveli informazioni non pubblicizzabili; da uno a tre anni per chi pubblichi editorialmente informazioni non pubblicabili. Sono inoltre previste sanzioni pecuniarie per chi pubblichi editorialmente e per chi non effettui l'adeguato controllo volto ad evitare la pubblicazione (un soggetto ibrido fra il direttore dell'editoriale e il redattore, chi sia esattamente non si capisce). Le sanzioni, che possono anche essere rivolte all'ente, sono nell'ordine delle migliaia di euro per i soggetti e delle centinaia di migliaia (fino ad arrivare a più di un milione di euro) per l'ente.

[Scendendo nel giuridico, ecco un nuovo pacchetto-limiti che il testo della legge offre alla già ansimante libertà d'indagine].

Intercettazioni ed autorizzazioni
Se prima il giudice autorizzava il pubblico magistrato a intercettare qualcuno sulla base di gravi indizi di reato, ora per la medesima autorizzazione devono sussistere evidenti indizi di colpevolezza. Ma se è evidente che uno è colpevole, allora cosa lo si intercetta a fare?! Per fortuna, per i reati di associazione mafiosa, tratta di persone, sequestro a fini di estorsione e terrorismo, sono sufficenti indizi di reato. Per tutti gli altri, comunque, serve la colpevolezza evidente. L'elenco dei rimanenti è infinito, ne citerò qualcuno a breve.

Quanto possono durare le intercettazioni?
Parliamo di durata delle intercettazioni. Prima le cose funzionavano in maniera semplice: ogni quindici giorni il pubblico ministero richiedeva il rinnovo dell'autorizzazione al giudice, laddove sussistessero i motivi che in origine lo avevano portato a iniziare le intercettazioni.
Ora le cose sono leggermente diverse: per i reati di associazione mafiosa, tratta di persone, sequestro a fini di estorsione e terrorismo, l'autorizzazione viene rinnovata ogni 20 giorni, sulle stesse basi di prima. Sembra meglio, ma la pecca c'è, ed è doppia: la durata massima non può superare quella della durata massima delle indagini preliminari (18 mesi o 2 anni, a seconda dei casi). Inoltre, per tutti gli altri reati le intercettazioni non possano durare per più di due mesi (30 giorni iniziali, proroga eventuale di 15, ulteriore ed ultima eventuale proroga di altri 15). Un esempio a caso, la frode. I realti di alto bordo, quelli "Tanzi style", che si trascinano in archi temporali biblici, tirano un sospiro di sollievo dal limbo del crimine. Un altro esempio a caso, la corruzione. La punta di diamante nell'elenco delle condanne che pendono su molti - troppi - esponenti della politica e delle istituzioni. L'omicidio. L'usura. L'associazione a delinquere non mafiosa. Potrei continuare fino al vomito. Fate voi.

Dove?
Salvi i soliti già citati casi, non è possibile piazzare strumenti di intercettazione in luoghi ove non esista fondata certezza che ivi stia accadendo un reato.

Riutilizzo delle intercettazioni
I risultati delle intercettazioni, prima, potevano essere utilizzati in procedimenti diversi solo qualora tali procedimenti riguardassero reati per cui è obbligatorio l'arresto in flagranza. Semplice. Ora, invece, viene ristretto il campo di ammissibilità a tutta una serie specifica di reati che nemmeno sto a scrivervi. Sicuramente dalla serie rimane fuori qualche reato per cui è obbligatorio l'arresto in flagranza, altrimenti la modifica non avrebbe senso. Sarei curioso di scoprire quale.

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Per semplicità, parlando del contenuto della legge ho sempre utilizzato il presente. In realtà tutti quegli "è" sono dei "sarebbe", che diventeranno "è" se il Senato approverà la legge.
Speriamo non lo faccia.
Come amebe impossibilitate ad utilizzare il teoricamente devastante potere che dovrebbero avere 60 milioni di persone, aspettiamo e speriamo.
Magari, nel mentre, firmiamo anche. Male non fa.
Firma l'appello di Repubblica.

lunedì 8 giugno 2009

Ma chi è Franco Tentorio?

Scrivendo dei risultati amministrativi di Bergamo, mi è sorta una domanda: ma chi è Franco Tentorio? Di lui - personalmente - so poco: candidato di destra, ex consigliere comunale militante nell'MSI, attuale (quasi certo) sindaco di Bergamo.
In realtà lui è molto di più: Franco Tentorio è anche un amorevole padre di famiglia, un buon cristiano nonchè un commercialista di prim'ordine. Una biografia da far invidia a J.F.K.
Ciò che la sua biografia non dice, però, è che nel 1993 fu arrestato per aver reso falsa testimonianza in merito alle tangenti pagate per la compravendita del bar Nazionale (proprio quello!). Arresto peraltro giustificato, considerato che lo stesso Tentorio ammise a suo tempo le proprie colpe, per poi essere rimesso in libertà. Ma com'è che di questo non se ne parla? Di certo non sono falsità da comunisti bastardi: lo scriveva il corriere, quindici anni fa.
Primo articolo e secondo articolo, per chi non volesse crederci.
Ora, forse mi sbaglio: forse si tratta di un altro Franco Tentorio, bergamasco a suo tempo consigliere comunale membro dell'MSI. Forse a quei due articoli c'è un seguito, dove si scopre che l'ammissione del buon Franco era data dal fatto che un brufolo gigante controllava le sue attività cerebrali primarie. Forse no.

Risultati elettorali

Mosso da uno spirito Galeazziano, mi dedico a una brevissima cronaca in tempo (semi) reale dei risultati di queste elezioni. Partendo da quelle ormai definitive: le parlamentari europee.
Dico Galeazzi, ma di sportivo in questi risultati c'è poco: giusto la rassegnazione dei perdenti, che con gran dignità si staranno probabilmente afferrando a brocardi sulla scia di "l'importante è partecipare" (e soprattutto, farsi rimborsare: perchè se la soglia di sbarramento è del 4%, la soglia necessaria per ottenere il rimborso elettorale a spese dei contribuenti è del solo 1%).

Per quanto riguarda l'Italia, le due direzioni principali della politica hanno riportato risultati non troppo sorprendenti: a destra PDL e Lega ottengono rispettivamente 35% e 10%, mentre a sinistra si erge il 26% del PD e l'8% dell'Idv. Un buon 6,5% per l'UDC, e qui si chiude la lista di chi ha raggiunto la soglia di sbarramento. Niente da fare per le frange più sospinte di destra e sinistra: spicca il gruppo Rifondazione Comunista - Sinistra Europea - Comunisti italiani, con un 3,3% che è ancora troppo poco. Emma Bonino non potrà ripetere la sua esperienza da parlamentare europea, perchè la sua Lista Marco Pannella - Emma Bonino non supera il 2,42%. Fortunatamente le nostalgie fascistoidi non hanno raggiunto nemmeno l'1% necessario al rimborso (Forza Nuova e Fiamma Tricolore), il che significa che non dovremo rimpinguare le tasche dei loro leader amanti del braccio teso. Non meritano nemmeno un colore.

Analizzando i risultati e confrontandoli con quelli delle ultime elezioni politiche, si nota in primo luogo un calo dei votani: 80% contro 65%. Emerge poi un netto incremento dei voti ottenuti da Lega e Idv, che guadagnano la prima circa il 2% in più e il secondo circa il 4%; parallelamente il PD ha perso circa il 7%, il PDL il 2/3%.
A parer mio, il 4% guadagnato dall'Idv è parte di quel 7% perso dal PD, che con l'avvento di Franceschini ha molto probabilmente visto parte dei propri elettori spostarsi verso Di Pietro. Il restante 3% temo trattasi di un quinto di quel 15% che ha scelto di non votare.
Quanto alla destra, l'incremento della Lega è cosa a sè stante: complice la crisi e il bombardamento mediatico sulla questione relativa all'immigrazione e ai provvidimenti sui respingimenti, molti amabili pastori della Val Brembana hanno premiato l'operato Leghista con un 2% in più. Sarebbe bello ma sciocco pensare che un risultato del genere (assieme al calo contestuale del PDL) non renda la Lega ancor più determinante per l'equilibrio e la stabilità del Governo. Il 2% in meno del PDL può essere dunque dovuto all'eguale aumento della Lega, ma potrebbe anche semplicemente essere una causa della riduzione del numero di votani. In ogni caso, viste le previsioni del (poco) onorevole Berlusconi, trattasi di un risultati pesantissimo: il prospettato 40% è ben lontano. Che inizi il declino del gigante? Personalmente ci credo poco: senza un avversario valido, non c'è declino. Ma andiamo avanti con le europee.
In linea di massima, dunque, la destra esce vincente e rafforzata da questi risultati. E non solo in Italia.

L'est europa, lo stesso che in tempi remoti orbitava attorno all'URSS, viene oggi sommerso da una netta vittoria del centrodestra, a cui si affiancano alcuni preoccupanti risultati delle frange più estremiste: Romania, Ungheria, Slovacchia, Austria e soprattutto Olanda mandano in parlamento almeno un paio di eurodeputati ciascuno della destra più radicale. Ma non sono i soli: avanza l'estrema destra anche in Gran Bretagna, marciando sul cadavere (già martoriato) del povero Gordon Brown. Positivo invece l'inaspettato risultato dei verdi in Francia.

Per quel che concerne i gruppi parlamentari, comunque, resta la maggioranza di Democratico-Cristiani e Democratico-Europei, con 263 seggi; secondo il gruppo socialista, con 161.

Per informazioni più esaustive rimando a quest'articolo di Repubblica (http://www.repubblica.it/2009/06/sezioni/politica/elezioni-in-europa/tutta-europa/tutta-europa.html): termino l'intervento con qualche semplice considerazione.
Al di là dell'effettiva composizione del parlamento europeo, che non risulta modificata da questi risultati in modo decisivo, l'emersione della destra radicale non può che destare preoccupazioni: soprattutto alla luce del fatto che si manifesta in concomitanza con un periodo di crisi e recessione. La storia si ripete, diceva Vico. Come alle elezioni del '31 della Germania Hitleriana, come nell'Italia Fascista. Ok, forse non proprio allo stesso modo, ma il principio è il medesimo: a fronte di problemi (soprattutto economici) le masse guardano con speranza al radicale, alla svolta, all'eccesso. E votano gli estremismi di destra. Penso che ci sia una buona componente di autolesionismo in comportamenti del genere: smettiamola, allora, di farci del male. Perchè non è questa la risposta.

La mia intenzione era di proseguire con le elezioni amministrative, ma voglio essere onesto con quei pochi che mi leggono: non lo farò. Lo scoramento per questi risultati mi annichilisce, quindi mi limiterò a riportare che attualmente a Begamo il candidato di destra Franco Tentorio ha ottenuto circa il 53% dei voti, contro il 42% di quelli del sindaco uscente di sinistra Bruni. Sono già stati scrutinati più dell'80% dei voti. Fate voi.

[aggiornerò con i risultati del consiglio comunale, ma non aspettatevi grandi sorprese]

domenica 7 giugno 2009

Correzione

Mi è stato fatto notare un errore nell'intervento sul referendum elettorale: ciò che i primi due quesiti vogliono abolire non è (come da me erroneamente scritto) la differenza delle soglie di sbarramento fra liste coalizzate e non coalizzate. Si tratta invece dell'abolizione del premio di maggioranza alle coalizioni, premio di maggioranza che potrà essere attribuito solo alle singole liste. Le soglie di sbarramento per le liste, laddove il referendum passasse, sarebbero quelle delle attuali liste non coalizzate. Ho provveduto comunque a modificare e correggere. Grazie a Mr. Pietro Serra, accanito lettore e mia groupie personale, per la segnalazione.

venerdì 5 giugno 2009

Futuri Avvocati, prestate orecchio! Riforma della professione.

E' un fresco pomeriggio di giugno: alle mie spalle, la finestra spalancata lascia entrare una brezza gentile, accompagnata da un innaturale e pacifico silenzio. Sembra essere uno di quei rari momenti di tranquillità estiva, fatti apposta per abbandonarsi a un pigro vuoto mentale, esami o non esami.

Il fresco non lo sento: sto sudando freddo. Quanto al silenzio, mi trovo costretto a romperlo con qualche imprecazione che non farà felice il buon Dio. Ciò che leggo nel caos informatico in merito alla riforma della professione forense non mi piace. L'argomento è complesso, le informazioni in merito confuse e complicate. Ma mi tocca da vicino, e tocca probabilmente tanti di voi che (spero) state leggendo. E' il caso di dare un ordine al caos nel quale sto sbirciando.

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Primavera 2008: il ministro Angelino Alfano decide che la professione forense è da riformare: commissiona così una bozza di riforma al Consiglio Nazionale Forense. Nel Luglio 2008 il Consiglio presenta la prima bozza di riforma. Tale bozza subirà poi una serie di modifiche e vicissitudini: verrà largamente modificata a Ottobre, poi sottoposta all'esame di una nuova commissione a Dicembre e infine ripresentata (con scarse modifiche sostanziali) a fine Febbraio 2009.
La versione di Ottobre è quella di riferimento: tant'è che a Novembre 2008 il ministro Alfano afferma di volerla inserire nella futura riforma dell'ordinamento giudiziario, ed approvarla entro dicembre (cosa che non avverrà: vedremo fra poco cosa invece accadrà in parlamento).
Cosa prevede la bozza? Per quel che ci riguarda, una disciplina maggiormente restrittiva di accesso alla professione. Le novità in merito sono essenzialmente le seguenti:
Scuole Forensi e Tirocinio: accanto al tirocinio biennale è istituito l'obbligo di frequentare una Scuola Forense per due anni, con un minimo di 250 ore di frequenza e un proficuo rendimento (verificato tramite prove intermedie e finale). Trattasi di scuole a pagamento. Inoltre, per poter accedere al tirocinio è necessario superare un test d'ingresso.
[All'oggi non esiste l'obbligo di frequentare simili scuole, nè esistono limiti di accesso al praticantato].
Esame di Stato: l'accesso all'esame di stato è subordinato - oltre al normale tirocinio - al superamento di una "prova di preselezione informatica". Inoltre l'accesso non è consentito agli over 50. All'esame di stato non è possibile usare codici commentati, ma solo testi normativi. Le materie su cui verte l'orale sono le più complesse: ordinamento e deontologia forensi, diritto e procedura civile, diritto e procedura penale (più altre due a scelta). Dopo tre bocciature all'esame di stato è necessario ripetere il tirocinio
[All'oggi non esiste alcuna prova preselettiva, nè esistono limiti di età. E' inoltre possibile usare codici commentati e le materie dell'orale sono solo cinque, peraltro a scelta; non esiste inoltre il limite delle 3 bocciature].

Queste, dunque, le novità proposte dal Consiglio. E' evidente che con simili misure l'accesso alla professione verrebbe drasticamente ristretto: secondo quanto rilevato dal Consiglio e dal Ministro stesso, la ratio sta nell'eccessivo numero di avvocati che hanno ormai intasato il mercato.
Vero o falso che sia (ed è ahimè tendenzialmente vero), ridurre ulteriormente le possibilità lavorative successive ad una delle lauree più "gettonate" oggigiorno non sembra essere estremamente positivo. Tale riforma trova larga approvazione all'interno dell'ambito forense (fra i già avvocati), ma un netto rifiuto fra i (pochi) studenti che la conoscono.

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Come già anticipato, nonostante le promesse di Angelino, la riforma non è stata trasfusa in parlamento nella sua totalità (tant'è che ha subito modifiche fino al febbraio del 2009, ben oltre il termine previsto dal Ministro per l'approvazione).
Ciò nonostante, fin dall'inizio dell'ultima legislatura si sono susseguiti una serie di progetti di legge parlamentari volti a riformare l'ordinamento forense. Effettivamente, l'attuale regolamentazione della professione risale ad una legge del 1933 che - seppur modificata negli anni - risente della lontananza cronologica.
Progetti di legge parlamentari, dunque. E qui inizia il caos. Perchè di progetti di legge parlamentari per la riforma della professione ce ne sono attualmente più di dieci, undici per la precisione! Alcuni di essi sono direttamente collegabili alla bozza del C.N.F. , altri meno, altri ancora sono discorso a sè. Ma vediamoli con ordine, e soprattutto pazienza. Ci tengo a ricordare che gli aspetti da me evidenziati sono solo ciò che dei dl riguarda l'accesso alla professione forense.

1) Pdl n. 72 del 28 aprile 2008 [ /// ]
Lo segno per scrupolo: sul sito del Senato risulta essere ancora in attesa di assegnazione. Non è inoltre disponibile il testo. Presumo sia ormai cosa morta.

2) Pdl n. 1004 del 14 maggio 2008 [ Alternativo C.N.F. ]
Proposto dall'onorevole Pecorella del PDL, è ormai da mesi arenato in Commissione e pare non volersi muovere da lì. E' un testo molto ampio, ma per quanto riguarda l'accesso alla professione vi segnalo:
- Aumento del periodo di tirocinio a 30 mesi, riducibili ai normali 24 se si frequenta una scuola professionale.
- Necessità di ripetere il tirocinio se bocciati all'esame di stato per tre volte. [Misura ripresa dalla bozza del C.N.F.]
- Necessità di sostenere una prova di preselezione per l'accesso all'esame di stato, evitabile laddove si abbia superato la prova finale dei corsi integrativi di formazione (scuole professionali).
- Bonus di punti da sommare al risultato dell'esame di stato per chi abbia superato la prova finale dei corsi integrativi di formazione (scuole professionali).
- Restrizione della rosa di materie fra cui scegliere le cinque su cui sostenere l'orale.
Dal testo emerge dunque la volontà di premiare chi sostenga i citati corsi di formazione, anche se si è ben lontani dal renderli obbligatori (nonchè onerosi). Non si parla di penalizzare chi non li sostiene, ma favorire chi lo faccia.

3) Pdl 1447 del 7 luglio 2008 [ Alternativo C.N.F. ]
Presentato dall'onorevole Cavallaro del PD, seconda balena spiaggiatasi sui soleggiati lidi della Commissione Giustizia. Riprende le misure già segnalate del dl 1004, evidentemente nella speranza (malriposta) di riportare in pista le idee dell'onorevole Pecorella.

4) Pdl 1494 del 16 luglio 2008: [ Alternativo C.N.F. ]
Presentato dall'onorevole Capano del PD, assieme ad altri. Indovinate un pò? Esatto, Commissione di Giustizia! Fermo dal giorno dell'assegnazione, cioè il 5 ottobre.
Le novità sono le stesse del 1004.

5) Pdl 1837 del 28 ottobre 2008 [ C.N.F. ]
Presentato dall'onorevole Mantini del PD, quale sia il suo stato attuale nemmeno spreco tempo a ripetervelo.
Sembra essere il primo progetto di legge che recepisce effettivamente il contenuto della bozza del C. N. F. , stabilendo quanto segue :
- Necessità di un test d'ingresso per poter effettuare il tirocinio (per poter cioè essere iscritti all'albo degli avvocati praticantanti).
- Obbligo di frequenza delle già citate e onerose scuole professionali.
- Necessità di ripetere il tirocinio se bocciati per tre volte all'esame di stato o all'esame di preselezione.
- Limite dei cinquant'anni per l'accesso all'esame di stato, nonchè necessità di aver superato un test di preselezione per poterlo sostenere.
- Materie dell'esame orale congelate nei già citati diritto e procedura civile, diritto e procedura penale, ordinamento e deontologia forense più altre due materie a scelta.
- Impossibilità di utilizzare codici commentati durante la prova scritta dell'esame di stato.
Distaccandosi dai progetti di legge precedenti, il 1837 tenta di introdurre la riforma proposta dal C.N.F. per via parlamentare. In comune con i suoi predecessori ha comunque gli esiti: nulli.

6) Pdl 711 del 29 Maggio 2008 [ Alternativo C.N.F. ]
Proposto dall'onorevole Casson del PD, viene assegnato alla Commissione Giustizia il 4 Febbraio per un esame in comitato ristretto.
Fino ad ora, nessun dl aveva mai cominciato (ai sensi di quanto scritto sui siti di Camera e Senato) l'esame, rimanendo congelato "in attesa".
Da qui in poi invece tutti i dl che si presenteranno risulteranno attualmente in esame in comitato ristretto: sono per la precisione quattro (compreso il 711), e a quanto risulta dai siti di Camera e Senato la trattazione in commissione li discute interrelazionandoli fra loro, forse cercando di fonderli in una disciplina unitaria. Assegnazione e trattazione in commissione di ciascun progetto
avvengono peraltro tutte nel medesimo giorno, cioè il 4 Febbraio.
Il 711 ripropone le misure proposte dal 1004 e seguenti. Non è il caso di ripeterle.

7) Pdl 601 del 21 Maggio 2008 [ Altre Misure ]
Terzo dl assegnato ed esaminato in commissione ristretta il 4 Febbraio 2008. Proponente: on. Giuliano del PDL. Mosca bianca dei progetto di legge, il 601 propone una riduzione della durata del praticantato (o tirocinio) da 24 mesi a 12 mesi, con la possibilità di effettuarne la metà nei sei mesi precedenti al conseguimento della laurea.

8) Pdl 1545 del 25 Luglio 2008 [ Altre Misure ]
Presentato dall'on. Barbieri del PDL, è il più particolare di tutti: in controtendenza assoluta, propone di subordinare l'iscrizione all'albo professionale al biennio di tirocinio seguito da un triennio di "patrocinio legale continuativo" (un concetto per la cui spiegazione vi rimando a fonti più autorevoli di me). Il tirocinio prevederebbe anche frequenza obbligatoria di scuole professionali, ma la disciplina in merito è vaga.

9) Pdl 1198 dell'11 Novembre 2008 [ C.N.F. ]
Quarto dl assegnato ed esaminato in commissione ristretta il 4 Febbraio 2008. Il proponente è l'on. Mugnai, PDL.
Al contrario del 711, il 1198 riprende le misure proposte dall'1837, cioè quelle "fotocopia" della bozza del C.N.F.

10) Pdl 1171 del 31 Ottobre 2008 [ Non Rilevante ]
Quarto ed ultimo componente dei "moschettieri del 4 Febbraio". Presentato dall'onorevole Bianchi del PD, a chiusura di una tetralogia chiastica squisita.
Non riguarda l'argomento della nostra discussione, in quanto mira a regolamentare il rapporto fra l'esercizio della professione forense e l'esercizio della attività parlamentare in capo al medesimo soggetto. E' comunque un argomento interessante che merita argomento a sè.

11) Pdl 2419 del 6 Maggio 2009 [ C.N.F. ]
Assegnato alla Commissione Giustizia il 21 Maggio ed attualmente in attesa di esame, il disengo di legge in questione (proposto dall'on. Cassinelli del PDL) riprende la solita trita disciplina proposta dalla solita trita bozza del C.N.F.

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Siete arrivati fin qui? Davvero? E' il caso allora di tirare un pò il fiato: respirate, respirate, respirate. Se siete pronti, tiriamo le somme.
Attualmente esistono in parlamento:
- Tre proposte di legge ricalcanti la bozza del C.N.F. , cioè volte ad una più restrittiva disciplina dell'accesso alla professione. Cardine del tutto è l'obbligo di frequenza di scuole di specializzazione.
- Quattro proposte di legge di cui la 1004 dell'on. Pecorella è progenitrice, volte ad una riforma che si ponga a metà fra la disciplina attuale e quella proposta dal C.N.F. : più blanda, ma certamente innovativa. La principale differenza sta nel non obbligo di frequenza di suddette scuole, parallelamente tuttavia ai vantaggi che dalla frequenza deriverebbero.
- Due proposte di legge che propongono una riforma del tutto diversa: l'una limitata alla durata del tirocinio, l'altra che abbraccia l'intero campo dei requisiti per l'iscrizione all'albo.
- Una proposta non rilevante per la nostra discussione.
- Una proposta probabilmente morta.

Ciò che certamente salta all'occhio è l'incredibile ridondanza del materiale in esame. Alla già nota lunghezza dei lavori parlamentari si aggiunge l'accavallarsi l'uno sull'altro di progetti di legge sostanzialmente identici. Ma un fatto resta: la disciplina forense ha bisogno di essere svecchiata. Per una volta non si tratta di mera velleità del ministro Alfano (nè del tentativo di salvare qualcuno): come già anticipato, il testo base che regola la professione risale a più di settant'anni fa. Le modifiche nel corso degli anni ci sono state, e molte, ma una più radicale riforma sarebbe certamente auspicabile.
Soprattutto in considerazione del fatto che oggi il numero di laureati in giurisprudenza che si avviano alla professione di avvocato è in costante aumento: si parla dell'ordine delle centinaia di migliaia di iscritti all'albo. Il mercato non solo è saturo, ma - spesso - lo è di persone scarsamente qualificate, che contribuiscono a svalutare ulteriormente la professione. Da studente in giurisprudenza mi costa fatica ammetterlo, ma è così.

Lucidamente sembra allora inevitabile che una riforma dell'accesso alla professione, prima o poi, si farà. La domanda diventa allora quale sarà il modello base per questa riforma; a parer mio lo scontro si giocherà fra la proposta basata sulla bozza del C.N.F. , reiterata tramite tre diversi progetti di legge, e la proposta radicata sul pdl 1004 dell'on. Pecorella.
C'è un ma.
Fra i vari pdl presentati si può operare un ulteriore distinzione, relativa allo stato dei lavori parlamentari. Attualmente la Commissione Giustizia sta esaminando un pdl per ciascuno dei due modelli sopracitati: l'esame è iniziato il 4 Febbraio. Poco più di due settimane fa, il 21 Maggio, la stessa Commissione si è vista assegnata un ulteriore pdl, il più recente, basato sulla riforma C.N.F. Che cosa può voler dire? Che dall'esame del 4 Febbraio sia emerso vincitore il modello C.N.F., ora riproposto in via definitiva tramite ulteriore pdl? Entrambi i progetti sono infatti stati presentati da membri del PDL. O vuol dire forse che l'esame del 4 Febbraio non è approdato da nessuna parte (vista la lungaggine dei tempi), e stanno ritentando per l'ennesima volta di cominciare l'iter legislativo con un nuovo pdl?
Di risposte non ne ho. Solo tanti dubbi. Una cosa è certa: noi futuri (si spera) laureati faremmo bene a tenere sotto controllo la questione.

giovedì 4 giugno 2009

Referendum elettorale del 21 Giugno: cos'è.

A poco più di due settimane dal tanto dibattuto referendum, spendo due parole per illustrare cosa esattamente sia e di che cosa esattamente tratti. Mi auguro possa interessare, perchè l'argomento non è dei più irrilevanti.
Il referendum si compone di tre domande, ciascuna delle quali chiede se si desidera abolire qualcosa. Per anticonformismo partirò dal fondo, cioè dal terzo quesito. E per spiegare che cosa propone di abolire, parto dalla:

Attuale legge elettorale. In Italia i parlamentari sono eletti con sistema elettorale proporzionale a lista bloccata: ogni partito o "lista" si presenta in ogni circoscrizione con la propria lista di candidati. Le circoscrizioni sono sostanzialmente le regioni: al Senato coincidono con esse, alla Camera esistono alcune regioni con più circoscrizioni (26 circoscrizioni per 20 regioni).
In ogni circoscrizione esiste un numero massimo di deputati o senatori eleggibili. Il votante sceglie la lista/partito per cui votare, ma NON il candidato (è questa infatti la particolarità della lista bloccata). Ciascuna lista ottiene un numero di parlamentari proporzionale al numero di voti ottenuti [esempio: nella circoscrizione Pincopalla si eleggono 10 deputati. Il PDL prende il 60% dei voti, dunque 6 deputati. Il PD prende il 20% dei voti, 2 deputati. La Lega (argh!) ne prende altri 2 con il restante 20%].
L'ordine della lista stabilisce chi andrà in Parlamento: se la lista PDL ottiene 6 deputati, andranno in Parlamento i primi sei.

In Italia, dove la concezione dello spazio e del tempo è più o meno la stessa che vige sull'isola di Lost, è ammessa la cosiddetta candidatura multipla. Un candidato di una lista può cioè presentarsi all'interno di più circoscrizioni, senza limiti. Immaginate ora che quel candidato, sulla base dei voti ottenuti, venga eletto in due circoscrizioni. Teoricamente dovrebbe clonarsi ed occupare - lui e il suo immorale sosia biologico - due seggi parlamentari. Praticamente non può farlo, dunque sceglie in quale circoscrizione essere eletto. Nell'altra circoscrizione, il suo posto lo prende il candidato subito sotto di lui in lista. E' il "sistema a scalino".
Ovviamente, il povero fesso che vota non potrà sapere mai chi sta mandando in parlamento. Se nella circoscrizione Trullallero il PDL candida, nell'ordine, Berlusconi-Provenzano-Dell'Utri-Bondi, e ottiene un numero di voti sufficente ad avere un solo parlamentare, teoricamente dovrebbe essere eletto Berlusconi. E io che voto PDL - sciagurato! - forse lo sto facendo solo per Berlusconi, perchè gli altri non mi sconfinferano più di tanto. Ma se Berlusconi vince anche nella circoscrizione Pincopalla e sceglie di farsi eleggere lì, nella Trullallero verrà eletto Provenzano.

Ora immaginate questo sistema moltiplicato a livelli di complessità inauditi, e accompagnatelo a un buon bicchiere di previsione dei risultati elettorali in ciascuna circoscrizione (se una regione è rossa o nera, bene o male si sa). Attraverso la candidatura multipla e il sistema a scalino, chi stila le liste dei partiti può sostanzialmente predeterminare la composizione del Parlamento. Basta mettere in cima alle liste sempre gli stessi soggetti, quelli che attirano i voti, anche se il seggio nei fatti verrà dato a qualche illustre sconosciuto o velina con eccezionali capacità orali. Oratorie, pardon.

Il
terzo quesito referendario del 21 Maggio propone di abolire la possibilità per un medesimo soggetto di candidarsi in più circoscrizioni. Fine delle candidature plurime, fine del sistema a scalino, fine della predeterminazione. A voi la scelta di cosa votare.

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Un quesito è stato risolto. Rimangono gli altri due. E' necessario ahimè tornare alla legge elettorale.
Ciò che prima ho omesso di dire è che le liste o partiti possono presentarsi da sole o in cosiddette "coalizioni". Le coalizioni sono gruppi di liste o partiti aventi la singolare caratteristica di possedere un solo unico e comune programma elettorale, nonchè un solo unico e comune leader. Per una lista, presentarsi in una coalizione vuol dire perdere la propria "identità", e con essa la possibilità di attirare voti. Se programma e leader sono uguali a quelli delle altre, che senso ha votare una lista piuttosto che un'altra?
La convenienza per una lista a presentarsi coalizzata sta nelle soglie di sbarramento. In ogni circoscrizione, infatti, per poter ottenere i seggi parlamentari, una lista non solo ha bisogno di voti ma anche di un numero minimo di voti. Se la lista ottiene dei voti teoricamente sufficenti a consentire l'accesso in Parlamento anche solo di un suo candidato, ma non ottiene quel minimo stabilito, non ha accesso al parlamento.
Tale minimo o - appunto - soglia di sbarramento è del 4% alla Camera e dell'8% al Senato per le liste non coalizzate. Per le liste coalizzate è la metà. 2% e 3%.
Una lista coalizzata, insomma, avrà il doppio di possibilità di entrare in Parlamento rispetto ad una lista non coalizzata.

Il sistema delle coalizioni si riflette anche all'interno del Parlamento. Alle ultime elezioni le due coalizioni contrapposte erano quella di Silvio Berlusconi (PDL = 37% dei voti + LN= 8% dei voti + MPA = 1% dei voti) e quella di Walter Veltroni (PD = 33 % dei voti + IDV = 4% dei voti), i due leader di riferimento. La coalizione di destra ha ottenuto la maggioranza dei voti, e con essa il premio di maggioranza del 55%. Altra particolarità del nostro sistema elettorale è che la compagine politica che ottenga la maggioranza dei voti alle elezioni ottiene il 55% del Parlamento, al fine di garantire una maggioranza parlamentare stabile.

Da questi risultati emerge un fatto: allo stato attuale delle cose, con il sistema delle coalizioni la sinistra è in grado di creare un "blocco" la cui percentuale totale sfida quella del singolo partito Berlusconiano. In virtù di ciò il governo del premier ha bisogno - per essere sicuro di non cadere - dell'appoggio della Lega, che coalizzandosi con il PDL crea un blocco contrapposto in grado di prevalere sul blocco della sinistra. Dunque il sistema delle coalizioni, viste le attuali percentuali, rende indispensabile per il governo l'appoggio della Lega: senza di essa, il blocco coalizzato della sinistra avrebbe la meglio. A voi valutare la positività (anche alla luce di recenti proposte dei verdi padani) di una simile posizione di forza leghista.

Primo e secondo quesito referendario del 21 giugno propongono in sostanza di abolire il sistema delle coalizioni. Nello specifico, essi propongono di eliminare l'attribuzione del premio di maggioranza alle coalizioni: solo le singole liste (con le soglie di sbarramento delle attuali liste non coalizzate) possono concorrervi. Questa modifica renderebbe il sistema delle coalizioni privo di qualunque senso, eliminandolo a tutti gli effetti.
Proiettiamoci in un futuro dove si giunga ad elezioni senza sistema delle coalizioni: non essendoci più tale possibilità, la sinistra non avrebbe modo di creare un "blocco" con cui contrastare il singolo PDL. I due partiti principali, PD e IDV, sarebbero singolarmente inermi contro la massiccia percentuale del PDL.
Di contro, la posizione di forza della Lega scomparirebbe: il governo non avrebbe più alcun bisogno del suo appoggio, con la possibilità di relegarla ad un ruolo di minoranza.

E' evidente dunque che primo e secondo quesito siano estremamente delicati: se il referendum sull'abolizione delle coalizioni passasse, consacrerebbe un probabile strapotere del PDL, contrastabile solo da un ipotetico futuro partito della sinistra in grado di catalizzare su di sè tutti i voti che attualmente sono distribuiti fra PD e IDV. Tuttavia il "si" a questi due quesiti vorrebbe dire la fine di una pericolosa posizione di forza leghista, i cui effetti a livello legislativo sono fino ad ora stati alquanto evidenti (ronde, respingimenti, e quant'altro).


La mia posizione in merito - temo - è piuttosto chiara. Ma mi auguro comunque di aver esposto i fatti nel modo più chiaro possibile, al di là del merito delle mie idee. Personalmente sono sicuro di votare "si" al terzo quesito, ma rimango ancora molto dubbioso sui primi due. E voi?

mercoledì 3 giugno 2009

Le mille peripezie del Cavaliere: dal Lodo Maccanico-Schifani alla riforma penale.

Venghino siori! Qui si narra la meravigliosa e incredibile storia di Sir Silvio, cavaliere con qualche macchia (ma senza paura) autore di epiche imprese già scritte nei libri di storia (quella con la esse minuscola, di cui vergognarsi). Sempre in groppa al suo mansueto destriero di nome Italia, egli galoppa da anni fra avventure dal sapore sì un pò giuridico, ma non per questo noiose.
Qui se ne vuole raccontare una.

Un giorno, un certo David Mills scrive una lettera al suo commercialista Bob Drennan: in essa afferma di aver ricevuto da Mr. B. 600.000 dollari, una piccola mancetta per essere rimasto "abbottonato" durante le testimonianze rese nei processi per i fondi neri di All Iberian e per corruzione della Guardia di Finanza.
Qui non si vuole raccontare i dettagli del processo Mills, quanto più il complesso architettonico di leggi costruito sullo stampo della lunga lingua del buon David.

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Mr. B. , o Sir Silvio, rischia grosso: il processo Mills per corruzione potrebbe chiudersi con la constatazione del suo ruolo di corruttore. Per grazia divina tuttavia il processo all'avvocato inglese cade in concomitanza con la sua seconda Presidenza del Consiglio [2001-2005]. E' proprio in questo lasso di tempo che viene presentato l'archetipo dell'attuale Lodo Alfano, nonchè il primo tentativo di salvataggio del premier: il Lodo Maccanico-Schifani [l. 140 del 2003].

Lodo è un termine che sta ad indicare la natura bipartisan di una legge: nonostante le apparenze, di bipartisan nel Maccanico-Schifani c'è ben poco. L'idea nasce sì a sinistra (Maccanico), ma viene stravolta e rimodellata dalla destra (Schifani) a un punto tale che la nomenclatura rimane giusto per indorare la pillola. Il lodo prevede essenzialmente quanto segue:
- Sospensione processuale per qualunque reato commesso in qualunque momento dalle cinque più alte cariche dello stato (Presidente del Consiglio, Presidente della Repubblica, Presidente della Corte Costituzionale, Presidente della Camera, Presidente del Senato).

Nonostante la rilevazione di profili di incostituzionalità da parte del Capo dello Stato (e successivo rinvio della legge), il testo è riapprovato senza modifiche. Manco il tempo di incazzarsi, che fortunatamente viene sollevata questione di incostituzionalità. La Corte Costituzionale si pronuncia, e qui sta il nodo.
Preposta alla sentenza della Corte sta la sua stessa "approvazione delle motivazioni stanti alla base della legge, ovverosia permettere alle cariche in questione un pieno esercizio delle loro funzioni istituzionali". Tuttavia la Corte non può fare a meno di notare alcuni profili di incostituzionalità:
1) Il diretto interessato non può rinunciare alla sospensione, dunque non può difendersi e dimostrarsi innocente se non dimettendosi dalla sua carica: ciò lede il diritto di difesa di ogni cittadino, in quanto non lo si può esercitare senza una lesione del dubbio "diritto di essere in carica".
2) La possibilità per il medesimo soggetto di usufruire della sospensione in più legislature lede il principio di giusta durata del processo: potenzialmente, un processo può rimanere sospeso per sempre. Basta essere eletti ad una delle cinque cariche in legislature successive.
3) La sospensione prolungata può far decorrere i tempi di prescrizione, e ciò non è bello.
4) Soggetti costituitisi parte civile nell'eventuale processo vedono lesi i propri diritti.
Esistono poi altre motivazioni, ma mi limito a queste. Peraltro, la Corte stessa ritiene eventuali altri profili di incostituzionalità "riassorbiti", come a dire: questi sono sufficenti.
- Nessun accenno alla lesione dell'articolo 3 sull'uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge.
- Nessun accenno al fatto che non c'è ragione di distinguere la disciplina di tutela processuale dei Presidenti di Assemblea da quella di qualunque altro parlamentare.
- Nessun (o quasi) accenno al fatto che si dispone con legge ordinaria una forma di tutela che si presuppone debba essere di rango costituzionale: la Costituzione stessa disciplina infatti la necessità di autorizzazione a procedere parlamentare per processare il Presidente del Consiglio in caso di reati commessi nell'esercizio delle sue funzioni. Il lodo Maccanico-Schifani si pone addirittura al di sopra della Costituzione, disciplinando qualunque reato, compresi quelli compiuti prima dell'elezione. La stessa legge afferma che "è fatto salvo quanto disposto dall'articolo 96 della Costituzione", in un implicito riconoscimento del suo volersi applicare in un campo ancora più ampio di quello racchiuso dal testo costituzionale. La Corte ha risolto il tutto affermando che il Maccanico-Schifani trattava non di immunità processuale (quella disciplinata dalla Costituzione), ma di sospensione processuale.
Nel delineare questi profili di incostituzionalità, la Corte sembra dunque tracciare un sentiero per un futuro progetto di legge che - risolvendo i profili di incostituzionalità rilevati dalla sentenza - crei un testo che abbia i medesimi effetti del bocciato Maccanico-Schifani, ma che sia virtualmente inattaccabile.

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Nel terzo governo Berlusconi, nasce la Legge 124 del 2008, o Lodo Alfano. Di lodo - cioè di bipartisan - ha ancora meno del primo: è tutta farina del sacco di Angelino. Farina ripulita dalla crusca del Maccanico - Schifani, cioè dai profili di incostituzionalità rilevati dalla Corte stessa:
1) Il diretto interessato può rinunciare alla sospensione.
2) Non si può usufruire della sospensione per più legislature.
3) Durante la sospensione, non si calcola il tempo che passa ai fini della prescrizione.
4) L'aspetto civile dell'eventuale processo va avanti.
In parole povere, il Lodo Alfano risponde perfettamente a quel proposito approvato dalla Corte Costituzionale: permettere alle più alte cariche dello stato di svolgere pienamente le proprie funzioni istituzionali. E lo fa risolvendo le "imperfezioni" delineate dall'unico organo in grado di decidere in ultima istanza se una legge sia o meno costituzionale, cioè la stessa Corte.
Virtualmente inattaccabile.

Beppe Grillo ha di recente sbandierato le sue famose cinque domande al Presidente della Repubblica, peccando di una certa superficialità e fors'anche di ignoranza.
- La promulgazione immediata da parte del Presidente Napolitano si spiega alla luce del fatto che i possibili profili di incostituzionalità erano già stati risolti in seno al testo stesso, nonchè all'ovvietà del fatto che un rinvio non avrebbe sortito alcun effetto: le Camere avrebbero riapprovato il testo così com'era; a quel punto il Presidente avrebbe dovuto obbligatoriamente promulgarlo, ai sensi della Costituzione.
- Quanto al parere preventivo della Corte Costituzionale, trattasi di un paradosso: la Corte non da pareri preventivi.
- L'autoesclusione sarebbe stato un gesto molto fiero, ma nei fatti inutile: la rinuncia alla sospensione può avvenire solo quando si configuri il caso concreto dell'essere sotto processo. Un'ipotetica "rinuncia preventiva" non avrebbe avuto alcun valore effettivo.

Un fatto resta: il Lodo Alfano non sembra proprio essere il massimo della rispondenza ai principi costituzionali. I dubbi sulle questioni non rilevate dalla Corte (quelle esposte poco fa) sono tutt'altro che irragionevoli, e più di un costituzionalista autorevole li ha messi in luce. Ma è la Corte che decide. E visto come la Corte ha lasciato che il Lodo Maccanico-Schifani spianasse la strada al Lodo Alfano, difficilmente ci si poteva aspettare qualcosa di diverso da quanto accaduto.

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Sembrerebbe che il nostro Cavaliere sia dunque protetto da un magico scudo, ma con timer incorporato: attento attento Silvio, perchè fra cinque anni non ci sono santi. Il lodo non ti può salvare, dovrai farti processare! Al termine di questa legislatura, infatti, scadrà anche la sospensione processuale di cui l'attuale premier gode. E ai sensi della legge, non sarà possibile una reiterazione in capo al medesimo soggetto nella legislatura successiva.
E' necessario allora intervenire su altri fronti, per salvare il cavaliere dal drago scarlatto della Magistratura. L'ultima frontiera delle leggi ad personam si chiama:

Disengo di legge 1440: riforma del processo penale: dal 19 maggio, la commissione permanente di Giustizia del Senato sta esaminando in sede referente questo disegno di legge dal titolo in verità molto più ampio (Disposizioni in materia di procedimento penale, ordinamento giudiziario ed equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo. Delega al Governo per il riordino della disciplina delle comunicazioni e notificazioni nel procedimento penale, per l'attribuzione della competenza in materia di misure cautelari al tribunale in composizione collegiale, per la sospensione del processo in assenza dell'imputato, per la digitalizzazione dell'Amministrazione della giustizia, nonchè per la elezione dei vice procuratori onorari presso il giudice di pace). Autore della proposta è Angelino Alfano, oramai noto negli ambienti del pugilismo underground col soprannome di Angelino "Custode di Silvio" Alfano.

Si tratta di un testo di riforma lunghissimo, che tocca molti aspetti. Due di essi tuttavia spiccano:
1) Viene modificato l'art. 36 comma 1 lettera h del codice di procedura penale. Tale articolo stabilisce i casi in cui un giudice deve astenersi da un processo, e viene modificato aggiungendo il testo che segue: "h) se esistono altre gravi ragioni di convenienza anche rappresentate da giudizi espressi fuori dall’esercizio delle funzioni giudiziarie, nei confronti delle parti del procedimento e tali da provocare fondato motivo di pregiudizio all’imparzialità del giudice.
Suona un campanellino: quello delle toghe rosse. A quanto pare, il mostruoso mangiabambini che ha condannato David Mills deve stare molto attento a non sottolineare che dal processo è emersa la colpevolezza di Sir Silvio, o rischia l'obbligo di astensione e la sostituzione con chissa chi altro.
2) Viene circoscritta a reati specifici la possibilità di acquisire sentenze definitive come prove per altri processi. Fra questi reati non risulta la corruzione.
In parole povere, l'ipotetica (e probabile) sentenza definitiva che affermi "David Mills è stato corrotto da Sir Silvio" non potrebbe essere prova valida per accusare il premier. Ciò non implica ovviamente che non sia possibile processarlo: nondimeno, l'impossibilità di utilizzare la sentenza a carico di Mills renderebbe molto più lento il procedimento. Andrebbero presentate tutte le prove, interrogati i testimoni, insomma si dovrebbe ignorare la verità attestata nel processo Mills per ri-verificarla in un nuovo processo contro Berlusconi. Con il rischio del parto di una nuova e diversa verità. Forse meno vera dell'altra.

Che in questa lentezza, il Cavaliere speri? Spera in una nuova verità? O spera forse di svegliarsi dall'incubo purpureo in cui maligne entità lo hanno gettato, udendo finalmente il rassicurante suono di una sveglia di nome "prescrizione"? Chissà.


martedì 2 giugno 2009

Apertura

Questo blog non è altro che un punto di vista qualunque sugli eventi quotidiani. Una delle mille voci di informazione autonoma che popolano la rete, con la voglia di far sentire qualcosa di diverso. Visto quello che faccio (fingere di studiare giurisprudenza), noterete negli interventi qualche flessione da noioso cavilloso giurista, commentatore di proposte di legge e similia.
Effettivamente, cercherò talvolta di fare il punto sui lavori parlamentari meno "tecnici" e più comprensibili, magari attinenti a problematiche e questioni note solo nei loro aspetti più superficiali.

Trattasi di un esperimento dettato da vari sentimenti, ed essendoci fra questi anche la noia, mi scuserete se precipiterò nel fallimento.